Come la poesia può aiutarci a sopravvivere nei momenti più complicati dell’esistenza
“Tutto ciò che piace al mondo è breve sogno”. Chissà quante generazioni di studenti avranno “arricciato il naso” di fronte a uno dei più famosi versi (del sonetto “Voi che ascoltate in rime sparse il suono”) di Francesco Petrarca, magari al pensiero dell’imminente verifica di letteratura o all’idea della prossima interrogazione? Certo, qualche studente sarà senz’altro rimasto colpito dalla bellezza del verso; resto però pur sempre certo del fatto che la maggior parte di essi lo avrà associato senza dubbio avoti più o meno piacevoli, sul registro.
Ma al di là di tutto, una strana connessione mi passa per la mente: forse mai come oggi, nei giorni dell’inarrestabile ascesa a livello globale del fenomeno COVID 19 (meglio conosciuto ai più affezionati col nome di Coronavirus), risulta più attuale ed efficace la rilettura di un classico come Petrarca. Ma perché associare Petrarca al Coronavirus? In cosa consisterebbe l’analogia e in cosa l’attualità del verso di Petrarca?
Se fino a poche settimane fa, ben prima del fantomatico paziente 1 di Codogno, ci sentivamo sani, forti e invincibili, è bastato davvero poco per far crollare tutte le nostre sicurezze. Dagli scaffali svuotati di Amuchina, all’assalto ai banconi dei supermercati per arrivare al terrore dello starnuto virale il passo è stato davvero breve. Ed è proprio a questo punto che ci siamo scoperti fragili, vulnerabili e in balia di trasformazioni che non ci saremmo mai aspettati. In fin dei conti non siamo poi molto lontani da quello che ci insegnava l’autore del Canzoniere (nel suo sonetto “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”) quando, tratteggiando l’immagine di una Laura non più giovane come un tempo (“E ‘l vago lume oltre misura ardea di quei begli occhi ch’or ne son sì scarsi”), contribuiva a suo modo a rendere immortale l’immagine di chi rimpiange un passato di normalità e benessere, consapevole che il presente non è più così. Insomma, mi sembra proprio di poter rivivere quelle sensazioni anche adesso. Ma le analogie non finiscono certo qui. Andiamo avanti.
In questo periodo di crisi, la disinformazione, da un lato causata dalla superficialità di molti in merito a questioni medico-scientifiche e dall’altro dalle tante fake news diffuse sui social, sembra farla da padrone. Di fronte a tale situazione crescono di conseguenza l’allarmismo isterico e le fobie incontrollate, amplificate dall’impossibilità di avere una percezione univoca del fenomeno. Non siamo poi molto distanti da quel senso di precarietà decisionale che tanto caratterizzava la personalità di Francesco Petrarca. Abituato a percepire la sua esistenza come un percorso dalla difficile decifrazione, la sua poesia ci insegna quanto sia difficile a volte avere una netta percezione del problema che ci troviamo costretti a fronteggiare. A tal proposito, illuminanti sono alcuni passaggi della celebre lettera in cui Petrarca descriveva l’ascesa al monte Ventoso: “Troppi sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare non amo più; mento: lo amo ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità”. Allora come adesso, la difficoltà di una percezione sicura e coerente in merito a questioni complesse sembra essere una costante dell’uomo, tanto nel ‘300 quanto ne 2020.
Ma non finiscono qui gli effetti devastanti del virus più “virale” del millennio. Tale è stata la sua potenza che è riuscito, nel breve volgere di poche settimane, a farci rimpiangere quanto spesso era percepito, almeno agli occhi dei più, come noioso e tremendamente ripetitivo. Scuola, lavoro, appuntamenti fissati e irrevocabili; insomma tutto ciò che di più comune e quotidiano possiamo immaginare è stato drasticamente trasformato in qualcosa da rimpiangere in nome di una oramai lontana e rassicurante quotidianità. Proprio come quelle immagini del passato che tornano alla memoria e che ci ricordano quanto sono belle proprio nel momento in cui non le possediamo più; proprio come ci ha insegnati la poesia del Canzoniere “Chiare, fresche et dolci acque”, portavoce di immagini del passato che, impresse nella memoria, costudiscono gelosamente tutto ciò che ci è sfuggito dalle mani. “Da’ bei rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo”, diventa forse l’immagine più rappresentativa della bellezza di quello che non ci appartiene più.
Sicuramente non si può essere felici nè tantomeno si può restar sereni di fronte alla situazione che si è venuta a creare nelle ultime settimane: zone rosse, attività vietate, contatti sociali azzerati e via discorrendo. Allo stesso tempo però bisogna pur sempre ammettere che forse dei riscontri positivi potrebbero essere rinvenuti anche in una situazione del genere: più tempo per pensare, per stare in famiglia, meno stress nelle attività da svolgere e maggior spazio per la nostra interiorità.
Insomma, un po' come quello che è capitato anche al nostro Petrarca quando, di fronte alla scomparsa di Laura e al dilagare della peste nel 1348, cercava di reagire affidando alla scrittura una sorta di funzione terapeutica, vale a dire la capacità di farsi portavoce di ricordi, sensazioni, pensieri ed emozioni. Non voglio certo dire che dovremmo tutti cominciare a scrivere poesie in tempo di Corona Virus, ma se non altro anche noi potremmo utilizzare l'ampio tempo a disposizione per curare la nostra dimensione interiore.
Per concludere. Non ho affatto intenzione di rivalutare e santificare una pandemia di proporzioni mondiali come il Corona Virus, ma almeno un vantaggio la “micidiale infezione virale” forse l’ha avuto: avermi dato l'opportunità di scoprire in un autore come Petrarca caratteri tipicamente moderni, e forse universali, che probabilmente avrei fatto fatica a scorgere attraverso le usuali pagine di un libro scolastico. Incredibile a dirsi: quando un virus diventa più penetrante di qualsiasi analisi filologica!
Trombetta Lorenzo Francesco 3AFM1
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