Ogni giorno il tema della sostenibilità sembra acquisire un’importanza sempre più crescente, anche da parte di noi consumatori. Ci sentiamo chiamati in causa perché le nostre scelte, seppur apparentemente piccole, hanno collettivamente la capacità di influenzare i comportamenti delle aziende e i prodotti che offrono sul mercato.
In Italia si stima che il 52% dei consumatori sia disposto a spendere di più per l’acquisto di prodotti di aziende che si impegnano per avere un impatto positivo sul piano sociale ed ecologico. Si tratta di un dato rilevante, una quota di consumatori importante che si può tradurre in aumenti di vendite altrettanto rilevanti.
Proprio questo dettaglio cattura l’occhio di diverse realtà aziendali, le quali decidono di sfruttare la sostenibilità come se fosse una carta da giocare, al fine di migliorare l’immagine del brand, catturare nuovi clienti e fidelizzare gli attuali, di fatto ingannandoli.
Il greenwashing è esattamente questo: dipingere di sostenibilità un’azienda e i suoi prodotti/servizi quando questi ultimi non sono per nulla rispettosi dell’ambiente e della comunità.
Uno dei casi più clamorosi di greenwashing è stato quello di Volkswagen nel 2015 con il cosiddetto Dieselgate. La famosissima impresa tedesca installò su oltre 500.000 veicoli un software di manipolazione dei dati riguardanti le emissioni inquinanti da gasolio delle proprie vetture in modo da rientrare nei parametri ambientali e superare i test a pieni voti. Dipingere di ecologia i propri prodotti, nascondendone le reali caratteristiche nella volontà di ottenere un vantaggio scorretto sulla concorrenza, ha finito per essere il passo falso peggiore che un’azienda del settore potesse commettere, considerato che in condizioni trasparenti le vetture avrebbero inquinato 40 volte di più di quanto dichiarato.
Eventi come questi hanno ripercussioni molto gravi a livello mondiale sia sulla reputazione del brand che sull’effettiva fiducia da parte dei suoi stakeholder (azionisti, istituzioni, clienti…), ma in primo luogo rappresentano una profonda violazione del modello di Responsabilità sociale d’impresa (Csr) che l’azienda dichiara di sostenere.
La domanda sorge spontanea: quante altre aziende oltre a Volkswagen sono ricorse al greenwashing? Si va dalle aziende produttrici di acqua minerale, al mondo del fast-fashion (Zara e H&M) o ancora alla grande Unilever.
Al giorno d'oggi è un elenco preoccupante che non dovrebbe nemmeno essere scritto.
Credo che la sostenibilità, sotto il profilo sociale ed ambientale, sia una tematica degna di attenzione e riflessione da parte di ogni azienda. È proprio il tessuto imprenditoriale che, tramite il suo operato, influenza massivamente sia in modo diretto che indiretto l’ambiente e la comunità. Ogni azienda ha dunque il potere di migliorare la propria filiera e operare secondo un modello che promuova la sostenibilità.
Un potere che può davvero fare la differenza.
Martina Radicchio 5RIM1
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